La Banca centrale russa mantiene i tassi invariati e il Rublo vola

La banca centrale russa ha un presagio: da qui a un anno, l’inflazione nel paese sarà del 6%, ben al di sopra del target del 4%, anche se in deciso rallentamento dal picco del 16,4% raggiunto nel corso del 2015.

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A gennaio, la corsa dei prezzi ha rallentato sotto il 10%. Anche in considerazione di ciò, l’istituto ha mantenuto inalterati all’11% i tassi di riferimento, in considerazione dei “rischi elevati” sull’inflazione, nonostante il recupero del rublo e le migliorate condizioni esterne sui mercati.

Alla notizia, il cambio si è ulteriormente apprezzato, portandosi a 67,5939 contro il biglietto verde, sostenuto anche dal rialzo del Brent, che guadagna l’1,47%, attestandosi a 42,15 dollari al barile. Eppure, il bilancio pubblico è stato basato sulla previsione di quotazioni medie del greggio a 50 dollari, per cui ai livelli attuali si rischia un deficit fiscale più ampio di quanto stimato, considerando che oltre il 40% delle entrate statali derivano dalla vendita di petrolio e gas.

L’istituto considera il rally del petrolio “insostenibile”, tenuto conto dell’eccesso persistente dell’offerta sul mercato, dell’aumento della produzione dell’Iran dopo la fine delle sanzioni e del rallentamento dell’economia in Cina. Per questo, stima le quotazioni medie per quest’anno a 30 dollari al barile (sotto i livelli attuali di oltre il 25%) e a 40 dollari al 2018.

Oggi, un barile di Brent vale in Russia un ricavo di quasi 2.850 rubli, circa il 20% in più del 21 gennaio scorso, quando il rublo crollò ai minimi storici di 82,3970 a fine seduta contro il dollaro. Ciò significa che il cambio si è rafforzato meno di quanto non siano risaliti i prezzi del greggio e ciò dovrebbe allontanare il timore di una possibile immediata inversione di tendenza sul mercato valutario, nel caso in cui si arrestasse il rally dell’oro nero.