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Euro/Dollaro ai minimi da giugno 2010
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Il risultato, dunque, non è stato disastroso come si temeva, non solo dal punto di vista della quantità di titoli collocati ma anche sul fronte dei rendimenti, dal momento che per i titoli decennali è stato registrato soltanto un lieve rialzo al 5,743% rispetto al 5,403% di gennaio, mentre i tassi sul titolo a due anni sono addirittura calati passando al 3,463% dal 3,495%.
La decisione è stata prese a seguito dell’approvazione del secondo piano di aiuti da parte di Bruxelles. Tale piano, ricordiamo, include il coinvolgimento del settore privato che, come ha sottolineato l’Eurogruppo, comporterà un taglio del 53,5% del valore nominale dei loro crediti, lasciando quindi intendere che la Grecia adotterà le clausole di azione collettiva.
Secondo un sondaggio di CorrierEconomia, che ha coinvolto ben 40 operatori nazionali, la recessione probabilmente sarà meno grave di quanto previsto. Il 78% degli intervistati, infatti, tra le diverse opzioni ha scelto di definire tale recessione “sopportabile”, abbinandola ad una flessione del Prodotto interno lordo dell’1% circa.
Tuttavia, secondo l’istituto di ricerca bolognese, il permanere delle incertezze in merito alla crisi del debito sovrano e la recessione europea impediranno un ulteriore calo dello spread sotto i 300 punti nel corso del successivo biennio.
Il calo dell’euro nei confronti del biglietto verde, tuttavia, non è sempre una brutta notizia. La debolezza della moneta unica, infatti, favorirà tutte quelle società italiane che producono in Italia ed esportano negli Stati Uniti, nonché quelle che vantano una solida presenza in Nord America e i cui contratti di vendita sono espressi in dollari.
Secondo Parker, inoltre, equivale a default anche il tentativo del Governo di mettere a punto un accordo con il settore privato, in quanto a suo avviso si tratta di una trattativa inutile e che non farà fare alcun passo in avanti nella risoluzione del problema.
Le ultime due misure, tuttavia, secondo Draghi sono le opzioni peggiori, a suo avviso quella preferibile rimane la ricapitalizzazione, pur riconoscendo che gli azionisti non sono sempre ricettivi in merito alle operazioni aventi ad oggetto l’aumento del livello di capitale, soprattutto in un contesto macroeconomico complicato come quello attuale.